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Economia

La vite, vanto dei nostri agricoltori, è per noi coltura antichissima.

Già veniva coltivata nella nostra zona prima della colonizzazione romana in modo poco razionale, con vitigni poco adatti, a noi sicuramente non pervenuti, come pure la vinificazione. Il vino veniva consumato con aggiunta di miele ed altri aromi, forse per mitigarne l'acidità. Plinio nel primo secolo dopo Cristo (Historia naturalis, lib XVIII, cap.25 n°48) criticava la produzione vinicola del novarese. (Il nostro clima non permetteva sicuramente la coltivazione della vite come nella zona di Roma.) Scriveva (da novariensis agricola) "l'agricoltore novarese non pago della molteplicità dei tralci da stendere, né della quantità dei rami, avvolge ancora i tralci ai branconi positivi; e così anche per i difetti del terreno, e a causa della coltura i vini divengono aspri".

In quel periodo solo i nobili e le classi dirigenti avevano l'ambizione di colture specializzate per migliorare il prodotto. Solo i ricchi potevano dedicare tanta cura alla vite. La massa contadina si preoccupava più della quantità, che della qualità, e i tralci sugli alberi venivano così irrazionalmente aumentati al massimo.

Fu in seguito alla colonizzazione romana che si diffuse la potatura della vite da noi. Il nostro vino migliorò talmente da venire usato come moneta e divenne una fonte sicura di reddito favorendo lo stanziamento della comunità agricola. Esso fu portato verso zone sempre più lontane e giunse con un viaggio lunghissimo, prima per via terra sino in Liguria e poi con navi, sino a Roma ove fu molto apprezzato sulle mense patrizie. I carri, che percorrevano una strada malagevole e pericolosa, al ritorno trasportavano dalla Liguria il sale.

La vite continuava però ad essere coltivata col sistema ad "altena" cioè attorcigliata agli alberi di castagno che a Boca abbondavano. Raggiungeva grandi altezze e la vendemmia veniva effettuata usando lunghe scale e così pure "l'exgarzolatura "dei tralci inutili. Era un lavoro non privo di pericoli e molto faticoso.

Furono i monaci Benedettini di S. Nazaro Sesia che insegnarono per primi verso l'anno mille circa a coltivare la vite attaccandola a pali conficcati nel terreno, dapprima a fila semplice, poi in doppia fila sostenendo i tralci con bastoni posti di traverso (sistema a pergolato o topia). Metodo sicuramente migliore rispetto all'attorcigliamento sugli alberi, ma spesso le coltivazioni venivano danneggiate dai venti durante i temporali che abbattevano i pali di sostegno delle viti.

Sempre i monaci, in età alto-medioevale introdussero presso i nostri viticoltori una precisa tecnica di coltivazione: la diffusione delle viti per propaggine e per talea e più di tutto una razionale potatura, migliorando nel contempo le tecniche di vinificazione.

Già nel 1300 il nobile cronista novarese Pietro Azario celebrò il nostro vino come: "Rinomato sin dall'antichità".
Molti furono come si vede i sistemi adottati dalle nostre genti nella coltura della vite, ed essi mutarono gradualmente nei secoli perfezionandosi nei metodi di coltivazione e nelle qualità dei vitigni.

Il commercio si sviluppò nel secolo XVI, verso Novara e il Vescovo di Novara Carlo Bescapè era tra i migliori clienti. Per opera del Cardinale Mercurino da Gattinara venne introdotto alla corte di Carlo V.

S'incominciò anche all'esportazione, a dorso di mulo, in Svizzera con botticelle da soma di litri 22 attraverso i valichi montani del Sempione e del passo San Giacomo. Nel XVII secolo si incominciò la pratica della "roncatura" ossia la formazione di veri e propri vigneti regolari a linee trasversali al pendio, terrazzato nelle pendenze più forti con muretti di sasso a secco.

I pali di legno verticali, sotto la spinta del vento, non sempre reggevano il peso dei tralci carichi di uva e talvolta crollavano trascinando nella loro rovina i grappoli maturi. Fu l'Architetto Alessandro Antonelli di Maggiora, geniale costruttore di miracoli di statica muraria come la Mole di Torino, la cupola di San Gaudenzio di Novara e del nostro Santuario, a trovare una soluzione pratica, egli per primo, sfidando la diffidenza dei viticoltori locali studiò "la campanatura" dei pali di sostegno, ossia mise quattro o sei pali per piede di vite obliqui in modo che la loro inclinazione verso l'interno compensasse la forza traente dei tralci carichi di uva, ottenendo una situazione di equilibrio. Tale sistema da noi ancora usato nei vecchi vigneti viene chiamato "quadretto maggiorino".

La situazione politica risorgimentale ebbe ripercussioni anche nella nostra viticoltura, quando al tempo di Carlo Alberto, l'Austria rincarò il dazio per l'importazione dei vini piemontesi in Lombardia, chiuse in pratica questo tradizionale mercato ai nostri produttori. Per fortuna la crisi della viticoltura in Francia, susseguente alla guerra del 1870 aprì un forte sbocco ai nostri vini oltralpe.

Ora il nostro vino comincia ad essere apprezzato in tutto il mondo e favoriti dalla meccanizzazione, stanno sorgendo sempre nuovi impianti cambiando ancora una volta il volto dei nostri vigneti.

Ora si coltiva la vite a "spalliera ", più comoda per la lavorazione con le macchine. Per sostenerla si usano pali in cemento ben ancorati al terreno che resistono al vento ben allineati. I più moderni metodi di vinificazione, la scelta delle uve, la sgranatura, la fermentazione più controllata, la pulizia delle botti, i frequenti travasi, la colmatura delle botti e soprattutto la grande pulizia in cantina, permettono di ottenere prodotti più sani, invecchiati tranquillamente nelle cantine a temperatura quasi costante e imbottigliati al momento più opportuno per soddisfare il palato dei più sofisticati ed esperti clienti.
Il controllo sulla produzione ed il disciplinare del vino DOC danno poi la sicurezza della qualità e della genuinità del prodotto.

Tratto dal sito: www.bocaitaly.com

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